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ma chi è veramente il guerriero dipinto dal giorgione nella pala di
castelfranco?
san nicasio o il reverendo fra muzio
costanzo
Il giovine guerriero, rappresentato sulla parte sinistra in basso della
Pala di Giorgione a Castelfranco, ha da sempre richiamato l’attenzione
non solo di storici dell’arte, ma anche di tanti studiosi del
territorio. Già da qualche tempo è stata messa da parte l’ipotesi
d'identificare nel personaggio armato San Giorgio: per la mancanza di
elementi iconografici (es.il drago), per non essere mai esistita una
cappella dedicatagli all’interno della primitiva chiesa di San Liberale
nel castello, anche se a tal santo era stato attribuito l’altare della
"detta cappella Costanzo" dal vescovo Alvise Molin nel 1603, durante una
visita pastorale. Si era fatto pure il nome di San Liberale, patrono
della medesima chiesa a lui dedicata all’interno delle mura.
Ultimamente, a seguito delle ricerche di J. Anderson, molti studiosi
sono concordi nell'individuare nel guerriero della pala San Nicasio
martire, Santo identificato come un ipotetico patrono dei Gerosolimitani
(in seguito Cavalieri di Malta), essendo appunto appartenuto a tale
Ordine, nonché nell’individuare in lui una simbolica connessione con San
Francesco, venerato a Messina, città dove si era stabilito un ramo
della famiglia Costanzo.
Nell’imminenza del quinto centenario dalla morte di Giorgione ho
rinvenuto in alcuni documenti, conservati negli Archivi di Stato di
Venezia e Vicenza sez. Bassano del Grappa, alcuni atti interessanti sui
Costanzo. Tra le cospicue testimonianze riguardanti la presenza dei
componenti di tale famiglia nella zona, mi sono ritrovato tra le mani
scritti che attestavano l’esistenza di un figlio di Tuzio, finora poco
considerato: il reverendo fra Muzio Costanzo, cavaliere della sacra
religione Jerosolimitana. Tra i tanti, ho scelto quattro rogiti
notarili, qui trascritti e tradotti in forma letterale, in cui si cita o
è presente in prima persona l'anzidetto Muzio a Castelfranco. Viene
quindi a chiedersi, se molte circostanze coincidono: età e appartenenza
all’ordine religioso dei Gerosolimitani di Muzio, descrizione scrupolosa
e accurata dell’armatura (in casa Costanzo di certo non né mancavano),
ingenua prestanza di un giovane, che ha tutta l’aria di non aver mai
fino a quel momento visto in faccia la cruenza della guerra, sia
veramente Muzio, fratello di Matteo, il guerriero della pala?
Un paragone tra i due personaggi mi pare opportuno. San Nicasio martire
dell'Ordine Gerolosimitano, nato in Sicilia in data imprecisata e morto
nel 1187 (caduta del regno di Gerusalemme), era ed è venerato in Sicilia
occidentale a Caccamo, Palermo e Trapani e sporadicamente in altre
località. Nel corso del medioevo veniva iconograficamente
effigiato come persona in età matura e con la barba. Solo dal XVII sec.
in poi è stato talvolta raffigurato in età giovanile, non più con la
croce dei Giovanniti o
meglio
Gerosolimitani, ma con il classico simbolo della croce dei Cavalieri
Malta e sempre con la foglia di palma in
mano, simbolo di martirio; elementi non riscontrabili nel guerriero
della pala di Castelfranco. Sembra che inoltre fosse venerato e invocato
per ottenere la guarigione dalle "scrofole", malattia del collo, di cui
pare fosse soggetto, ma in contraddizione a ciò, il nostro personaggio
mostra il collo completamente sano e scoperto. Non risulta essere mai
stato venerato come protettore dell’Ordine, perché solo la Madonna,
detta anche "Vergine di tutte le Grazie" è sempre stata la patrona e
simbolo della spiritualità dell’Ordine, assieme a San Giovanni Battista,
santo da cui proviene l’appellativo di Giovanniti od Ospedalieri di San
Giovanni. A riprova di ciò, questi ultimi sono di fatto richiamati e
inseriti tra le quattro ricorrenze inderogabili che si dovevano
festeggiare nella commenda di san Silvestro di Barbarano, appartenente
in quel tempo, all’Ordine dei Cavalieri Gerosolimitani come in un
documento qui inserito.
Muzio, di Tuzio Costanzo e Isabella de Verni, nasceva a Venezia o forse
a Castelfranco, in data da collocarsi dopo il 1479. Ad accreditare il
periodo, sappiamo che la Repubblica Veneta aveva negato il ritorno a
Tuzio in Cipro richiesto da Caterina Cornaro nel 1475, ma che aveva dato
nel 1477 il benestare per il ricongiungimento della famiglia facendo
arrivare a Venezia la moglie Isabella con i figli
[1]. quindi nel 1479, a Tuzio era
stata comunicata la conseguita eredità e vicereggenza di Cipro a seguito
della morte del padre Muzio
[2]. Solo dopo tale data a un
nuovo nato in casa Costanzo poteva essere assegnato tale nome, com’era
fino al secolo scorso nella tradizione il tramandare il medesimo nome
tra nonno e nipote. Come in tutte le famiglie legate alle antiche
tradizioni feudali in Cipro, Muzio era al corrente di non fare
affidamento sui beni paterni, andati al primogenito Giovanni; ne fa fede
il testamento di Tuzio e l’atto di donazione a Giovanni e Tommaso,
rispettivamente il maggiore e il minore dei figli di Tuzio, fatto
redigere dalla madre Isabella nel 1530 a Castelfranco, nei quali si
avvalorava quanto sopra menzionato sulla primogenitura ereditaria.
Muzio, essendo il terzogenito maschio, decideva, a differenza degli
altri suoi fratelli Matteo e Tommaso, che avevano optato per l’arte
militare, di scegliere la via religiosa, come altri suoi antenati,
entrando nell’Ordine dei Cavalieri Ospedalieri di San Giovanni Battista
e seguendo il percorso di completa dedizione all’ordine, professando i
voti di castità, povertà e obbedienza.
La carriera nell’Ordine, come si può costatare dai documenti, lo portava
a diventare commendatario del Priorato di San Silvestro di Barbarano
sicuramente prima del 1516, dal 1529 al 1537 Gran Priore di Lombardia e
Venezia e in seguito, come si evince dagli atti sotto riportati, "Armiraglio
della sacra religione Jerosolimitana". Proprio in virtù di tale
scelta non poteva ricevere beni ne disporne di propri. Di lui si hanno
notizie a partire dal 27 novembre del 1516, anno in cui suo padre Tuzio,
in nome del figlio "uti procurator generalis et procuratorio
nomine reverendissimi domini fratris Mutii Constantio de ordine
Hierosolymitanorum filii sui et commendatarii ecclesie Sancti Silvestri
de Barbarano districtus Vincentie", si fa sostituire da messer
Marco Busato di Castelfranco nella conduzione dei beni della commenda e
priorato di San Silvestro di Barbarano (VI), di certo giustificato
dall’età o da un successivo impegno richiesto dalla Repubblica Veneta.
Citato nel documento del 23 aprile del 1536, data del testamento del
fratello Tommaso a Castelfranco, "in domo magnifici Thome
infrascripti posita intra menia", in cui lo stesso fratello,
dettando le sue ultime volontà prima di affrontare una nuova campagna
bellica, lo designa in qualità di commissario ed esecutore testamentario
assieme al cognato Francesco Donà, Giovanni Corner e Cecilia sua moglie
"eccelentia signor Mutio Costanzo armiraglio dela sacra religione
Jerosolimitana suo honorevole fratello el clarissimo cavalier et
procurator de San Marco domino Francesco Donato suo honorevole cugnato
el clarissimo domino Zuan Corner del quondam clarissimo messer Zorzi
cavalier et procurator de San Marco et la magnifica madona Cycilia sua
dilectissima consorte", quindi presente in quel periodo a
Castelfranco o a Venezia.
In prima persona era in casa del fratello Tommaso, nell’atto del 14
giugno del 1541, dove liberava e francava un suo schiavo e servitore
etiope … "Ibique cum per multos annos reverendus et magnificus
eques Jerosolimitanus et benemeritus armiraleus sacris religionis
dominus Mutius Constantio habuerit et tenerit pro sclavo Franciscum
etiopem"… e infine in quello del 4 luglio dello stesso anno,
sempre a Castelfranco, dove locava per tre anni il priorato di San
Silvestro di Barbarano al reverendo Benedetto de Bollis, arciprete di
Santa Maria di Argiano.
Nell’anno in cui Giorgione si accingeva a dar mano alla pala
commissionatagli, Muzio poteva avere all’incirca venti anni, quattro o
cinque meno del fratello Matteo, un’età approssimativamente
corrispondente a quella del guerriero alla base sinistra del trono. Di
sicuro fra Muzio è stato il modello a disposizione di Giorgione nella
stessa casa dei Costanzo in Castelfranco a fine primavera o inizio
estate in un anno ancora da definire. Dall’ombra netta e quasi zenitale
proiettata sulla scacchiera del pavimento dal guerriero e dallo
stendardo, si desume che Giorgione abbia lavorato a quella figura del
guerriero nelle ultime ore antimeridiane e per un periodo ben preciso.
La Madonna con il bambino, San Francesco e il paesaggio sullo sfondo,
con tutto l’apparato scenico predisposto, presentano invece ombre più
morbide e allungate in consonanza con un periodo da collocarsi tra fine
estate e inizio autunno.
Giorgione definito da Jaynie Anderson “pittore della brevità poetica”,
dimostra anche di essere pittore dell’essenzialità e niente compare
nelle sue opere che possa ritenersi superfluo o estraneo all’opera
stessa.
Anche l’impalcato scenografico allestito dal Giorgione a schema per la
pala di Castelfranco, a parer mio, era contrassegnato, oltre che
dall’essenzialità, da dei modelli di semplicità e di quasi
improvvisazione, nel mettere assieme oggetti e utilizzare materiali a
disposizione: “do casse” o cassoni, un trono di un’evidenza
essenziale, un’asta, "braza diexe de pano scharlato, tre
tapedi aladamaschina e turcheschi e un covertoro de veludo cremesin"
e, per finire, a corredare il tutto, uno sfondo di un paesaggio, visto
come tale solo dalla medio alta pianura veneta. Due casse, reputo, che
forse aveva scelto tra le tante disponibili in casa Costanzo,
probabilmente modificate in altezza nel dipinto, e un trono, fatto
costruire velocemente dal "marangon" del quartiere del
Musile: la prima, "una cassa de nogara granda"
chissà, dipinta con "l’arma" dei Costanzo, la
seconda di "talpon biancha", di forma più ristretta in
lunghezza e già predisposta per la "depentura". Non
condivido affatto la lettura che si fa del sarcofago in porfido: primo
perché i Costanzo non vantavano discendenze di un certo prestigio,
secondo perché, se l’intenzione di Giorgione e del committente Tuzio
fosse stata tale, nella pala lo stemma con l’arma sarebbe monocromo,
della stessa tonalità della pietra. Oltretutto, non si trovano riscontri
comparativi in opere scultoree sulla stessa tipologia pervenuteci, data
l’elevata durezza, la struttura microcristallina e le difficoltà nella
lavorazione del materiale, particolarmente nella realizzazione delle
cornici rialzate a spigolo. Questo materiale si presta a essere lavorato
con forme bombate e con modanature di un più consistente spessore. Un
attento esame delle cornici, mi fa invece ritenere che si tratti di un
comune cassone di legno di noce. Tali "casse", il giorno d’oggi
chiamate più comunemente "cassepanche", per l’uso e la forma più
normalizzata, presentavano all’epoca una varietà dimensionale, di
diverse qualità di legni, di forma e colore. Le più pregiate, presenti
nelle stanze di rappresentanza, di solito erano dipinte con lo stemma
della casa. Basta sfogliare qualche istrumento notarile d’inventario o
d’assegnazione della dote alla sposa del tempo, per rendersene conto.
Abbinate ai forzieri, di dimensioni altrettanto varie e predisposti per
riporre le cose più preziose, erano in quei tempi gli unici mobili atti
a riporre biancheria e vestiario e quant’altro. Ne fanno fede, anche da
un punto di vista iconografico, le rappresentazioni pittoriche e
illustrative d’interni dell’epoca.
[vedi
inventario di casa Dotto]
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1. Doppia confluenza dei punti di fuga
2.
La linea rossa, (altezza dei personaggi) evidenzia che il presunto
sarcofago in porfido non aveva misure adeguate a contenere una salma
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Anche la doppia sovrapposizione prospettiva rilevabile nella pala di
Giorgione fa presupporre l’utilizzo delle casse: la prima confluenza dei
punti di fuga più in basso è legata alla rappresentazione della parte
inferiore e la seconda confluenza, più in alto, invece è legata alla
parte superiore. Nella prima fase Giorgione delineava i personaggi di
fra Muzio (il guerriero) e San Francesco con alle spalle la prima cassa
di "nogara granda". Dopodiché utilizzando il medesimo
punto d’osservazione e di lavoro, sistemava la seconda cassa bianca con
il trono sul pavimento, collocandola al posto della prima;
evidentemente, oltre che per completare la parte superiore dell’opera,
per dare la stabilità all’impalcato e più sicurezza alla modella
utilizzata per la Madonna. Il risultato come si percepisce è la
sommatoria delle due visioni prospettiche, forse non corrette dal poco
tempo avuto a disposizione per la realizzazione e dalla sollecitudine e
impazienza da parte del committente Tuzio richiesta a Giorgione.
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Dubito sia opera di Giorgione il "medaglione con l’arma" della pala,
troppo scentrato, grande e di modesta fattura. Lo stemma sulla pala
presenta delle evidenti diversità rispetto a quelli di casa Costanzo e
della lastra sepolcrale marmorea di Matteo. Forse è l’unica aggiunta
posteriore fatta fare dai discendenti "affictione dele insegne".
Ancora nel 1536, a quasi vent’anni dalla morte di Tuzio, le sue
disposizioni non erano ancora state eseguite il figlio Tommaso nel suo
testamento lascia l’ingrato compito all’erede Scipione di provvedere con
il concorso nelle spese dei cugini ciprioti alla riesumazione dal
pavimento del padre e alla costruzione con la posizione in alto di un
sepolcro marmoreo simile a quello di Matteo "vole esso magnifico
testatore che lo infrascripto suo herede de ciò si bochi cum li
magnifici fioli del quondam magnifico signor Zuane suo fratello et
intenda se tal legato sii ita adimpito et in caso che non fosse sta
exegito vole et cosi lassa et ordina chel infrascripto suo herede per la
sua portione quello advengono adimpire et exegere debba et similiter
ancho contribuisca per la sua rata alla spesa dela contructione et
electione in alto dela sepultura del prefato quondam clarissimo signor
Tucio cum positione et affictione dele insegne affirmando per la bona
memoria che quello esser sta cosi ordinato et disposto". Poiché
nulla c’è pervenuto di questo secondo sepolcro marmoreo, possiamo
immaginarci che le spoglie di Tuzio siano rimaste in mancanza d’accordo
tra le parti "di rimando in rimando" per terra, nel pavimento della
Cappella, come usanza dell’epoca a Castelfranco (vedi tombe ultimamente
ritrovate sotto il pavimento in S. Giacomo). D'altronde lo stesso
Tommaso esige "che quando gli occorera passar de questa vita
ubique fuerit, et reperietur, el corpo suo esser sepulto in la chiesa de
miser San Liberale pieve de dentro de Castelfrancho apreso le osse del
quondam clarissimo suo padre et premorti soi" non specificando
forme particolari di sepoltura se non "che inmediate do poi la
morte de esso signore testatore tutta la fameglia che alhora si troverà
a soi servitii sia vestita de bruno da esso suo herede per lamor de Idio
et per lanima sua". Devozione particolare della famiglia
Costanzo a San Francesco.
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Casa
Costanzo |
Tomba
Matteo |
Pala |
[1]
“Dominus Tutius
possit uxorem et familiam suam levari facere pro conducendo venetias non
possendo tam levare aliquem parieum seu parieam”. ASVE.
Deliberazione miste, Registro 19, 28 giugno 1477, cc. 18
[2]
“Quod scribatur
consiliariis et provisori Cypri et successoris suis pro domino Tutio
Constantii milite pro consequenda Vdomirati Cypri quondam patris sui, in
ea forma que dominio et capitibus huius consilii videbitur”.
ASVE. Deliberazione miste, Registro 19, 29 dicembre 1479, cc. 169
Documenti Costanzo
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