DOCUMENTI INEDITI DEL XV E XVI SEC. A CURA DI LUIGI SQUIZZATO   

 

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LO STUDIOLO NOTARILE

Lo studiolo dei notai Pietro Dotto e Bernardino Zaghi
a Castelfranco Veneto nel quartiere di Montebelluna,
ora Vicolo dei Vetri.

Nel 1991 durante le opere di ristrutturazione di un edificio all’interno del castello, adiacente al palazzo municipale di Castelfranco che da sul Vicolo dei Vetri, in una stanza a piano terra, è stato ritrovato, sotto alcuni strati di pittura a calce, un fregio che ricopre l’intero perimetro dell’ambiente sotto travatura per circa 75 cm. Il vano e la fascia decorativa sono stati restaurati e già da alcuni anni si possono ammirare nella loro quasi completezza, restituiti alla vista quasi interamente come all’epoca della loro realizzazione. Il sito è citato in un documento del notaio Dionisio Saxacher che ci porta indietro di cinque secoli: al tempo di Giorgione, nell’anno 1506.

 

Dall'alto in basso: casa dei pittori Alvise o Luigi e Antonio figli del magister Francesco pictor del fu Bartolomeo notaio di Scurelle del distretto di Feltre (ora provincia di Trento); studio notarile di Pietro Dotto e Bernardino Zaghi.

 

Pro ser Petro Dotto et ser Bernardino de Zaghis notariis.

 

1506 die jovis 24 mensis decembris.

Magnificus et generosus dominus Augustinus Mauro pro illustrissimo ducato dominio venetis et cet. potestas dignissimus Castrifranchi et districtus animadvertens quante auctoritatis et legalitatis sit tabellionatus officium non immerito dicere possit omnes illos qui fide cura et diligentia student huius modi officium exercere semper justo ac rationabili favore prosequendos esse et precipue in hiis que concernunt comodum et honorem sui officii ut eorum animus ad bene recte que incohata eis continue crescat et propterea eius magnificentia audita supplicatione et requisitione egregiorum ser Petri Doto et ser Bernardini de Zagis civium et notariorum huius oppidi pro eorum comoditate et honore officii habere unum modicum terre prope pretorium in loco publico ubi possint construere pro quanto capiunt duo scabella ad comode exercendum officium tabellionatus  et viso quondam loco in curia pretorii per dictos notarios ostenso sue magnificentie post hostium ipsius curie a dextras versus domum heredium quondam donne Cassandre aromatarie ubi nunc sunt stercora equorum et quotidie homines ventrem exonerant ac mingunt adeo quamdiu effertus est quasi publica latrina, petentium proinde per [   ] eius ea   eis impartiri et concedi de gratia speciali tantam terre quantitatem in loco isto prout eius magnificentie videbitur ad opus iam dictum per agendum  ut causam habeant melius inservire hiis quam ad eos venient pro conficiendis instrumentis habita prius per eius magnificentiam superinde matura ac diligenti consyderatione participatoque consilio cum sindicis comitatis concurrentibus in opinione cum eius munificentia non redente que huiusmodi et ad damnum alicuius persone neque ad incomoditatem aliquam magnificorum dominorum successorum suorum, se potius adderis curie et pretorii ac oppidi quia de immundo loco fuit mundus et pulcher, omni meliori modo et cet. per se suosque magnificos dominos successores suos potestates dedit et ad gaudendum in perpetuum concessit cum libertate fabricandi ut infra ser Petro et ser Bernardino notariis predictis pro se suisque heredibus recipientibus infrascriptam quantitatem terre positam in dicta curia pedum sexdecim per longitudinem post hostium ipsius curie incipiendo a muro domus dictorum heredium quondam donna Cassandre veniendo versus stallas pretorii, et pedum sex cum dimidio per latitudinem incipiendo a muro dicte curie a meridie et eundo versus sero, et pedum septem quarti unius per altitudinem usque ad pedes pillastrorum super dictum murum constructurum in quo loco dicti notarii possint et valeant fabricare circumcirca de muro suis expensis absque condictione alicuius persone et cuppis cooprire et hostium ac fenestras facere extra tamen dictam curiam super muro ipsius respicientes meridiem ac omnia alia et singula necessaria per agere ad habendum tenendum gaudendum et utendum per dictos notarios et heredes suos cum omnibus et singulis jure dicte quantitati terre spectantibus et pertinentibus cum onere dandi inperpetuum singulo anno cuique magnifico rectori  successori suo per regrem de regalia pro recognitione beneficii predicti par unum caponorum pro quoque dictorum notariorum circa festum Sancti Martini finiti gratiose se obtulerunt mandans illos pro libito mitti in tenutam et corporalem possessionem dare rei qui nihilominus pro missis intelligantur et habeantur hac tamen lege quam dicti notarii ut eorum heredes non possint nec valeant aliquid aliud exercitium exercere in dicto loco fabricando petere quam offici tabellionatus et  sic prefatus magnificus dominus potestas ita instantibus ac requirentibus dictis notariis ad maius robur et firmitatem ac observationem promissorum declaravit ac pronuntiavit omnia ista per eius magnificentiam concessa ac gesta ut supra in omnibus et per omnia ut jacent quibus omnibus et singulis suam et comuni Castrifranchi auctorem pariter et judiciale decretum interposuit  pro validiori actu mandans ea omnia inviolabiter observari. 

 

Testes Dominus Tomas de Constantio magnifici equitis domini Tutii, dominus Bernardinus  de Castellis domini Philippi.


ASBas. Notarile Castelfranco b. 548, cc. 77r,v.

Not. Saxacher Dionisio il giovane.

Regesto

Per messer Pietro Dotto e messer
Bernardino Zaghi notai.

Nel giorno di giovedì 24 dicembre del 1506, il magnifico signor Augustino Moro, podestà di Castelfranco e del suo Distretto per l’Illustrissimo Ducato Dominio Veneto, accorgendosi di quanta importanza aveva il servizio notarile, anche a sua disposizione vicino al palazzo pretorio, udita la supplica dei notai castellani Pietro Dotto e Bernardino Zaghi che richiedevano una modica pezza di terra pubblica per costruire un ufficio notarile in cui collocare due “scabella”, per la loro comodità e per l’onore di servizio, decideva di assecondare la loro richiesta. Il sito prescelto e richiesto dai due notai si trovava a ridosso della porta della curia (cortile del palazzo pretorio), a destra verso la casa degli eredi della fu donna Cassandra “aromataria[1], nel luogo “ubi nunc sunt stercora equorum et quotidie homines ventrem exonerant ac mingunt adeo quamdiu effertus est quasi publica latrina” (dove ora c’è lo sterco dei cavalli e quotidianamente gli uomini svuotano il ventre e mingono a tal punto che è diventata quasi una pubblica latrina). Il podestà, sentite anche le opinioni dei notai concorrenti e non trovando danno o svantaggio per lui e per i suoi successori, consapevole che quell’immondo luogo sarebbe stato reso pulito e bello, concedeva in perpetuo a Pietro e Bernardo il permesso di costruire in quel pezzo di terra posto nella curia della lunghezza di piedi sedici, dopo la porta della curia, iniziando dal muro della casa degli eredi di donna Cassandra e venendo verso le stalle del palazzo pretorio e di sei piedi e mezzo per larghezza, iniziando dal muro della curia a mezzogiorno e andando verso sera e di piedi sette e un quarto in altezza fino ai piedi dei pilastri.
Concedeva la facoltà che i due notai potessero chiudere l’area a loro assegnata con un muro e coprire di coppi sempre a loro spese e inoltre di aprire la porta e le finestre verso l’esterno della curia. A segno di riconoscenza richiedeva agli stessi e ai loro eredi la corresponsione annuale perpetua per lui e per i suoi successori di un paio di capponi alla festività di San Martino, precisando inoltre che i medesimi non potessero esercitare nessun’altra attività se non quella notarile. Confermava, inoltre, per una maggiore validità l’atto con un decreto giudiziale.

Testimoni:
il signor Tommaso Costanzo del magnifico cavalier Tuzio
e il signor Bernardino de Castellis del signor Filippo.

 

Vista d'angolo dello studiolo

L’atto notarile della vigilia di Natale del 1506, anno in cui l’allora podestà di Castelfranco, Augustino Moro, concedeva un’esigua striscia di terra, posta nel cortile del palazzo, ci permette di collocare la realizzazione dello studiolo e del suo fregio grossomodo nel 1507 o negli anni immediatamente successivi. A sicura conferma o dimostrazione dei tempi o modalità della sua realizzazione, non ci sono pervenuti i documenti dei notai Pietro Dotto e di Bernardino Zaghi, forse dispersi durante la guerra di Cambrai o in epoche successive (di quest’ultimo ci è rimasto un parziale protocollo con atti da lui stilati nella fine del secolo XV). Circa trent’anni dopo, invece, troviamo il figlio di Pietro, Battista Dotto anche lui notaio, a rogare nel posto; nel suo ufficio, come precisa “in studio mei Baptiste Dotto” da solo. Normalmente i notai dell’epoca stilavano in casa propria, in casa dei nobili forestieri veneziani o trevigiani, nel palazzo podestarile o nelle sue adiacenze, sotto la loggia, nelle abitazioni dei singoli richiedenti in caso di infermità o di atti testamentari, ecc. Risulta essere, nella podestaria di Castelfranco, la prima opportunità di utilizzare un ufficio predisposto per tali incombenze, svincolato dall’abitazione degli stessi notai.

La richiesta di Pietro Dotto e Bernardino Zaghi di avere la possibilità di rogare nelle immediate vicinanze del palazzo pretorio induce il podestà a concedere agevolmente l’area, vista l’utilità anche per lui e i suoi successori di avere nelle immediate vicinanze del palazzo tal esercizio. La facilità della concessione risulta ancora evidente anche per la possibilità di trasformare un’area dietro al palazzo pretorio, vicino alle stalle dei cavalli e al tempo ridotta alla stregua di una “publica latrina”, in un luogo “mundus et pulcher “ (pulito e bello).

La modica porzione, nell’angolo del cortile posteriore del palazzo podestarile, confinante con la casa degli eredi di Cassandra (figlia di Pietro Barberio e vedova di Antonio Baroni “aromatario”) nella misura di sedici piedi di lunghezza (circa cinque metri e mezzo), corrisponde all’attuale vano (acquisito in seguito dal Comune e ora adibito a ufficio scolastico). Per l'altra misura, invece, di sei piedi e mezzo per la larghezza (circa due metri e trenta nell’atto) non c'è coincidenza, tuttavia tale misura è rilevabile nella mappa catastale austriaca di Castelfranco, un po’ più a sud, nell’angolo intermedio che si forma tra le proprietà comunali e private. Evidentemente lo spazio mancante di altrettanti due metri e mezzo, verso mattina, coincideva con l'allora “quasi pubblica latrina” (attualmente la parete ad est lasciata con mattoni a vista, rispetto alle altre, presenta una notevole presenza d’umidità di risalita). L’altezza concessa era di  sette piedi e un quarto (circa due metri e mezzo, com’è tuttora): doveva contenere sostanzialmente due “scabella”. Ambiente, quindi molto contenuto, con la sola prerogativa di servizio al ricevimento delle persone e della stilazione delle minute degli atti.  La porta e le finestre, come stabilito, si dovevano aprire e tuttora si aprono solo sulla parete che dà sulla strada (ora Vicolo dei Vetri) e tuttora s’intravedono contornate nelle modanature della decorazione, anche se leggermente modificate.

 

Particolare della parete est

La fascia decorativa sotto travatura di circa 0,75 m. di altezza per 20 m. di lunghezza, cinge l’intero perimetro della stanza, con alternanza di tondi e di motivi floreali, eseguiti in prevalenza con tecnica all’affresco. Questi ultimi emergono visivamente da una campitura uniforme di sfondo in terra rossa (sinopia, rosso pompeiano, veneziano, ecc, tutti ossidi di ferro) che ancor più ne accentua il rilievo mediante una contornata e netta proiezione d’ombra realizzata con una tonalità di rosso morellone (ossido di ferro con gradazione scura più marcata): il tutto racchiuso da due cornici orizzontali sopra e sotto a mo’ di modanature bianco-marmoree. Dello stesso tono marmoreo è pure la resa pittorica dei tondi, dei motivi floreali, cosi come dei putti alati e degli uccelli, realizzati con una tinta neutra di base e resi plastici con sapienti pennellate di bianco San Giovanni nelle luci e di nero di vite a diverse gradazioni nelle ombre. Tipica del periodo (1500) è pure la stesura del “blu d’Alemania” (azzurrite, pigmento, utilizzato all’epoca in sostituzione del blu lapislazzuli, molto più costoso), su di un fondo di terra rossa o di morellone per evitarne l’annerimento e con l’aggiunta di colle per rafforzarne l’aderenza all’intonaco, vista la scarsa proprietà dell’intonaco d’incorporare tale pigmento. Le murature a sud e a est conservano ancora parziali tracce di bande colorate, intervallate da linee nere a tratto che all’epoca coprivano le intere pareti fino alla fascia ornamentale. Il pittore che ha realizzato il fregio conosceva a perfezione la tecnica dell’affresco, non ha avuto pentimenti, dopo la stesura delle campiture di base è intervenuto con abilità e con pennellate sicure nell’attuare il chiaroscuro con decisi tocchi per le luci e per le ombre, evitando le sfumature, non percepite dall’occhio da una debita distanza; buona esecuzione di un artista avvezzo a trattare temi decorativi di modanature architettoniche e non solo.

 

Il motivo ripetuto con girali d'acanto, putto e uccelli

I motivi floreali del fregio riprendono i temi d’ornati tipici della seconda metà del quattrocento in uso nella decorazione pittorica e scultorea con riferimenti prima di tutto alla produzione del Mantegna e della sua cerchia. Si possono identificare motivi ornamentali forse desunti dal presunto “Codice detto del Mantegna” e, non ultimo, probabilmente dal frontespizio marmoreo che il pittore ha visto in uno dei due palazzi  Soranzo a Treville, nel lavello ora nella Chiesa parrocchiale di Treville, sicuramente opera della bottega di Pietro e Tullio Lombardo [2].

 

Particolare del frontespizio della vasca del lavello, ora nella chiesa
arcipretale di Treville, seconda metà del XV sec.

 

Disegno di motivo ornamentale
dal presunto “Codice detto del Mantegna"

Il fregio pittorico raffigura dei girali d’acanto, in successione con dei tondi, includenti dei racemi con i loro frutti, che a spirale si racchiudono verso il centro inglobando delle testine di putti alati con gli occhi e bocche chiusi e stranamente privi di orecchi. Ai margini in alto dei girali, coppie di uccelli sono colti nell’atto di cibarsi di tali bacche: appartenenti alla specie dei corvidi, forse ghiandaie, riconoscibili dall’accentuata cerchiatura dell’occhio, note per la loro fedeltà, per la monogamia, per il prodigarsi nella cura filiale, per la difesa del territorio nonché per la spiccata memoria visiva nel riconoscere i nascondigli delle ghiande o altre bacche nei luoghi in cui le avevano celate durante la buona stagione.

  

Particolare della donna nel raccordo a vela della cappa

Nell’insieme la simbologia, quasi certamente, allude alla figura notarile: figura “super partes” depositaria a fedele garanzia nel tempo degli atti stipulati tra vivi e delle loro ultime volontà. I putti alati con occhi e bocche chiusi e senza orecchi, come pure la donna anziana, inserita nel raccordo a vela della cappa sopra i resti di un camino, nello stesso atteggiamento e con un orecchio in mano, sottintendono con specifica funzione visiva alla deterrenza per quanti: testimoni, chiamati alla responsabilità della presenza o della corresponsione nella firma di atti notarili, in particolare testamentari, avevano l’obbligo di non rivelare quanto visto, udito o sottoscritto “quam non habeant pandere aut manifestare volontatem suam”, fino all’ufficiale pubblicazione dell’atto. Quest’ultima tipologia di rogito, abbastanza spesso, richiesta da persone colpite da malattia o in procinto di partenze per viaggi, guerre o altro “… profecturus in viaticum ut asseruit et dubitans diversa pericula et quam nil certius morte et incertius hora eius, ideo volens previdere decrevit facere hoc suum testamentum…” (… essendo in procinto di partire per un viaggio, come ha aggiunto e dubitando diversi pericoli e che nulla è più certo della morte e più incerta è la sua ora, perciò volendo provvedere ha stabilito di fare questo suo testamento…), veniva puntualmente annullato “cassando et annullando et irritando ogni altro testamento che pre avanti havesse fatto” o integrato con dei “codicilli” (appunti aggiuntivi o di modifica parziale), una volta che il testatore era guarito o ritornato a casa. Ne è un esempio lampante quello dello stesso Bernardino Zaghi: nel 1528, si diceva malato da più di otto giorni di febbre terziaria e impossibilitato a ricopiare il proprio testamento e temendo la morte, richiedeva ad altro notaio la sua trascrizione con la postilla “non detur copia alicui neque ad legendum” (che non sia data copia ad alcuno neppure per leggerlo). Puntualmente, ristabilito, quattro mesi dopo lo annullava e ne cambiava disposizioni; pure quest’ultimo, a sua volta, revocato e modificato sei anni dopo nel 1534. 

 

Tondo con lo stemma dei Moro

Nei tondi sono dipinti, in modo alterno, gli stemmi dei vari podestà succedutesi nel governo di Castelfranco a partire dal 1506, dall’angolo nord-ovest: dei Moro, dei Vallaresso, dei Gradenigo, ecc. Tra questi, non ricollegabili ai primi, troviamo pure quello dei Costanzo, abitanti a Castelfranco, ma sempre censiti negli estimi come “forestieri”, alla stregua dei veneziani e ancora dei Marta: cittadini, invece, a tutti gli effetti già dalla seconda metà del sec. XV, con proprietà all’interno del castello (attuale Conservatorio “Agostino Steffani”), a Cittadella e a Brusaporco (Castelminio, dalla cui località hanno preso il simbolo dell’arma).

 

Tondo con l'arma dei Costanzo

 

Particolare in cui traspare, sotto lo stemma, un altro motivo

Buona parte di queste insegne gentilizie sono state dipinte a tempera in un secondo tempo; lo si può osservare dalla pastosità materica meno brillante del colore, in particolare nel caso di quello dei Costanzo (come mi ha fatto notare il restauratore del fregio, il pittore Orlando Cenni), in cui traspare sotto la presenza di un altro motivo non ricollegabile a un emblema. Forse sotto la pellicola pittorica di parecchi di questi ultimi ci sono dei motivi allegorici simili a quelli che si alternano ai sopradetti stemmi (due nudi di donne, un falconiere, un carro da parata, un cavaliere, degli strumenti musicali, un satiro, ecc.), motivi sicuramente non legati a nessun intento simbolico, se non alla libera fantasia e sapiente abilità descrittiva del pittore.

 

Tondo con falconiere

 

Tondo con donna

 

Accostabile per gli ornati ai fregi di casa Costanzo, ma di mano diversa, potrebbe essere opera di un pittore abitante od operante a Castelfranco, forse di provenienza veneziana. Non mancano di certo gli artisti in quel periodo. Oltre ad Andrea da Murano e il nipote Giovanni, scultore in legno come il padre Gerolamo, operano come pittori (con casa a due passi dallo studiolo, sempre nel quartiere di Montebelluna): Alouisius e Antonius, figli del magister Francesco pictor del fu Bartolomeo notaio di Scurelle, distretto di Feltre (ora provincia di Trento), abitante a Castelfranco già a inizio della seconda metà del quattrocento “…et magistrum Franciscum pictorem quondam ser Bartholamey notarii de Scurelis de Feltro habitarorem Castrifranchi…”. Nell’anno 1506 è presente anche un certo  “magister Cristoforus pictor”, che compare come testimone nel palazzo pretorio in un atto sempre di Augustino Moro, in cui però, non compare né il patronimico né la cittadinanza.  

 

 

Note

[1] ...Casa degli Eredi di donna Cassandra, figlia del signor Pietro Barberio e vedova di messer Antonio Baroni, confinante da una parte con la via pubblica, dall’altra parte con la curia del palazzo del Podestà e parte con gli eredi del magnifico Marco Moro, dall’altra parte con GiovanniFrancesco Zabotino e parte con Gerolamo Riccato ... (anno 1520). In seguito, per disposizioni testamentarie della stessa Cassandra, sarà oggetto di un lascito alla Cappella di San Giovanni all'interno della chiesa di San Liberale.

[2] L’architetto lapicida Pietro Lombardo conosceva sicuramente i Soranzo perché era presente come testimone in un atto notarile stilato a Venezia in una trattativa di vendita tra Ruggero Corner e Bartolomeo Malumbra in cui il futuro arcivescovo di Nicosia, Benedetto Soranzo di casa a Treville, partecipava come consulente tra le parti.

 

 

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